Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
Noi e le jene
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 115, p. 3
Data: 15 maggio 1955


pag. 3




   Fra le bestie carnivore che i dolcissimi e innocentissimi uomini chiamano belve o fiere, la più malfamata, la più infamata, la più nefanda e vitanda è indubbiamente la jena. Si perdona la ferocia al leone per la sua maestà, alla tigre per la sua bellezza, al leopardo per la sua eleganza, ma la sciagurata jena — seppure assai di rado ammazza esseri viventi — non trova attenuante nè grazia presso l'umanissima specie umana. La jena è brutta, è vile, è puzzolente ma soprattutto ha lo schifoso vizio, il repugnante costume, l'orribile abitudine di preferire ad ogni altro cibo i cadaveri.
   E sia pure, ma la mia stupefazione non ha limiti quando mi sovviene ad un tratto che noi stessi, giudici severissimi delle povere jene, altro non siamo che mangiatori di cadaveri. Facciamo la vista di ignorare che sulla maggior parte delle nostre tavole, quasi tutti i giorni, vengono imbanditi, tagliati a pezzi, cadaveri di bovi, di manzi, di vitelli, di maiali, di agnelli, di conigli, di pesci. di volatili e d'innumerevoli altri animali uccisi apposta per riempire i nostri ventri. Anche la sentimentale signora che sbaciucchia il suo canino esotico o accarezza amorosamente il suo cavallo forestiero, anche la pia dama che fa parte della società per la protezione degli animali, divorano tranquillamente, quando è l'ora dell'appetito, lacerti di cadaveri ovini o vaccini. squarci di carogne di polli o di fagiani manipolati dalle cuoche per renderli irriconoscibili. Neppure i vegetariani sfuggono alla somiglianza con le jene perchè anche le piante sono creature vive ed anzi è ormai dimostrato, dopo l'esperienza di Bose, che i vegetali posseggono una vera e propria sensibilità che li fa capaci di soffrire quando sono recisi. Anche i vegetariani sono, dunque, mangiatori di cadaveri, sia pure meno lordi e repellenti.
   Rimane un mistero per la mia ingenua mente il ribrezzo che gli uomini, i quali non si contentano davvero di nutrirsi col nettare e con la rugiada, dimostrano per le miserabili jene, le quali si cibano sì di cadaveri, ma di creature che si spensero per morte naturale o furono uccise dai nostri simili o da altre belve.
   Una differenza, ma non sostanziale, fra noi e le jene, consiste nell'arte nostra di nascondere alla meglio la schifezza delle carogne sminuzzate, per mezzo del fuoco e dei condimenti.
   Un'altra differenza esiste ed è a nostro disdoro: in ogni tempo, ed anche in questo presente, vi furono e vi sono uomini ghiotti di cadaveri umani, mentre non s'è mai sentito dire che le jene siano avvezze a trangugiare le carni morte delle loro sorelle.
   Numerose specie di jene hanno un loro strano grido, che sembra tale e quale una risata sarcastica: non potrebbe darsi che quelle intelligenti fiere ridano beffardamente alle spalle di noi uomini che, pur disprezzandole quali sozze divoratrici di carogne, imitiamo ogni giorno il loro metodo per guarire la fame?


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